La videosorveglianza dall’asilo nido al luogo di lavoro: i divieti del Garante Eulalia Olimpia Policella, avvocato del Foro di Roma 30 maggio 2013

Il Garante privacy ha dichiarato l’illiceità del trattamento delle immagini raccolte in modo occulto sul luogo di lavoro e delle immagini trattate mediante uso di web cam installate nelle aree didattiche di asili nidi in mancanza di effettivi rischi alla sicurezza.
La videosorveglianza sui luoghi di lavoro Il 2012 ha certamente segnato una svolta per l’impiego della videosorveglianza sui luoghi di lavoro con una rilettura ministeriale e giurisprudenziale dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori che, senza negare il diritto alla riservatezza dei dipendenti, ha alleggerito le procedure di cui all’art. 4 comma 2 e le responsabilità del datore di lavoro.

Si ritiene utile, a tale scopo, ricordare la nota operativa della Direzione generale per l’attività ispettiva prot. 37/0007162 del 16 aprile 2012 che ha semplificato notevolmente la procedura di rilascio dell’autorizzazione prevista dall’art. 4, comma 2, dello Statuto dei lavoratori per l’installazione di impianti di videosorveglianza, per imprese medie e piccole in cui sussistono serie esigenze di tutela dell’incolumità dei lavoratori. La nota fa riferimento a tabaccherie, farmacie, distributori di benzina, gioiellerie ma essa è applicabile a qualsiasi esercizio commerciale per il quale possa esistere un rischio per la tutela dell’incolumità dei dipendenti a causa dell’elevato rischio di rapina. La procedura semplificata consente alla DPL - senza necessità di sopralluogo - di rilasciare l’autorizzazione sulla base: (i) della documentazione allegata da parte del datore di lavoro che indichi il numero di telecamere, il posizionamento, l’angolo visuale, la planimetria dei locali e le caratteristiche tecniche dell’impianto richiedente (ii) di autodichiarazioni attestanti l’impegno all’osservanza della normativa vigente ed a non usare i dati per finalità, ad esempio, di controllo o disciplinari (nonostante sia ormai pacifico per la giurisprudenza che l’utilizzo delle immagini per fini difensivi non necessiti del rispetto dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori).

Al contempo i giudici della Cassazione penale (cfr. sentenza nr. 22611 dell’11 giugno 2012), con un’inversione di rotta, pervengono, finalmente, ad una lettura equilibrata della norma di cui all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori. I giudici, infatti, hanno ricordato che l’obiettivo del legislatore è quello di tutelare il diritto alla riservatezza dei dipendenti, per cui nel caso in cui tutti i dipendenti abbiano prestato il loro consenso all’installazione delle telecamere non vi è alcuna violazione del diritto alla riservatezza.
I giudici della Cassazione non hanno mancato di riscontrare correttamente che il consenso di tutti i dipendenti costituisce una misura di tutela del diritto alla riservatezza maggiore rispetto all’accordo con i sindacati o all’autorizzazione della Direzione provinciale del lavoro poiché nel primo caso tutti i soggetti interessati hanno espresso un atto di autodeterminazione relativamente ad un loro diritto della persona mentre la procedura di cui all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori rimette questa decisione alla  maggioranza oppure ad un ente pubblico.
Nel caso concreto, quindi, i giudici hanno escluso la responsabilità penale del datore di lavoro per inosservanza dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori poichè la società era tappezzata di cartelli sulla videosorveglianza e tutti i dipendenti avevano espresso il loro consenso per iscritto, per cui non poteva esservi una volontà di controllo dei dipendenti.

Diverso è il caso che si è trovato ad affrontare il Garante privacy recentemente e che ha dato luogo preliminarmente all’emanazione, da parte della Guardia di Finanza, di un’ordinanza di ingiunzione per mancata informativa ai sensi dell’art. 13 del Codice privacy e per mancato rispetto del provvedimento generale del Garante dell’aprile 2010 e successivamente ad un provvedimento di divieto del trattamento emesso dall’Authority ai sensi dell’art. 154, comma 1 lett. d del Codice privacy.
Questi provvedimenti, infatti, sono stati emessi a seguito di un’ispezione della Guardia di finanza che ha potuto accertare la presenza di un impianto di videosorveglianza, che conservava le immagini per circa sei giorni, composto da 19 telecamere di cui quindici che consentivano un’attività di controllo dei lavoratori collocate principalmente nei corridoi, nelle aree di scarico, in archivio e nell’ufficio di un dirigente. In azienda esisteva un’unica informativa privacy cartello che era stata collocata a 3 metri di altezza alla reception mentre quasi tutte le telecamere erano nascoste nei rilevatori fumo oppure nelle luci di emergenza.

L’authority privacy ha rilevato l’illiceità del trattamento per violazione delle seguenti norme:

- art. 11 del Codice privacy poichè le immagini erano state raccolte in modo occulto, dalle interviste ad alcuni dipendenti era emerso che si sapeva dell’esistenza di un impianto di videosorveglianza ma non era noto nè il numero di telecamere nè la loro collocazione per cui era stato violato il principio di correttezza;

- art. 13 del Codice poichè non erano state collocate le informative cartello per la videosorveglianza in numero sufficiente rispetto al numero di telecamere installate;

- dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori poichè l’installazione era stata effettuata senza rispettare la procedura di cui all’art. 4 comma 2 ossia senza l’accordo con le RSA oppure, in loro mancanza l’autorizzazione della DPL territorialmente competente.

Appare interessante notare che, nonostante la violazione di legge il Garante privacy ha disposto il divieto del trattamento ma non la cancellazione delle immagini autorizzando espressamente il titolare del trattamento (una società editrice di un giornale molto diffuso nel sud Italia) alla loro conservazione per metterle a disposizione delle autorità competenti (forse al fine di accertare eventuali reati) nonchè degli interessati che potranno far valere i loro diritti di cui all’art. 7 del Codice. Si ritiene che l’autorizzazione alla conservazione, tuttavia, non consentirà agli interessati di far valere il diritto alla cancellazione delle immagini nonostante l’accertata violazione di legge per questo motivo sarebbe stato opportuno indicare un termine massimo di conservazione delle immagini già registrate tenendo conto di quelli che sono, normalmente, i tempi di indagine.
Questa circostanza, infatti, lascia ragionevolmente ritenere che l’installazione di telecamere occulte sia stata effettuata per la raccolta di prove in ordine ad illeciti verificatisi in azienda e per fini quindi di difesa per le quali doveva forse applicarsi l’esimente difensiva di cui all’art. 24 del Codice ma gli elementi riportati nel provvedimento del Garante sono piuttosto scarni per spingersi  a valutazione ulteriori.
Si aggiunga che se l’intuizione fosse corretta il Garante avrebbe dovuto verificare la liceità della raccolta non solo valutando il rispetto delle (solite) norme disaminate ma anche dell’esimente difensiva di cui all’art. 24 del Codice privacy nonché delle specifiche norme procedurali applicabili alla raccolta delle prove costituite da immagini.

 Le telecamere in asilo nido  

La tutela della personalità e della riservatezza dei bambini costituisce un bene fondamentale della persona di rango superiore rispetto al diritto alla sicurezza degli stessi laddove non esistano effettive situazioni di rischio tali da far ritenere necessaria l’installazione di impianti di videosorveglianza.
E’ questa la massima che potrebbe essere tratta dal provvedimento del Garante dell’8 maggio 2013 inerente l’installazione di una web cam in un asilo nido.
La vicenda ha tratto origine dall’avvio di un accertamento da parte del Garante privacy a seguito di una notizia apparsa nel 2011 su un quotidiano inerente l’installazione di un impianto di videosorveglianza in un asilo nido di Ferrara che consentiva ai genitori di vedere i loro figli. Dagli accertamenti effettuati mediante richieste di informazioni avanzate alla società che gestisce l’asilo nido l’Authority privacy è venuta a conoscenza del fatto che l’installazione delle telecamere era stata effettuata: (a) non perché si fossero già verificati incidenti di sicurezza bensì per prevenire eventuali incidenti ritenuti maggiormente probabili a causa del fatto che l’asilo nido era posizionato al piano terra e, quindi, più facilmente accessibile; (b) nonché per consentire ai genitori dei bambini di partecipare alla loro crescita  mentre sviluppano le loro cognizioni sociali.

Le misure di sicurezza adottate  

Le misure di sicurezza adottate per consentire ai genitori di accedere alle immagini  sono costituite da password, sistema di autenticazione doppio ed impossibilità di procedere alla registrazione oppure di copiare le immagini su altri supporti digitali, queste misure sono state ritenute insufficienti dell’Authority privacy considerato che le immagini erano trasferite mediante reti pubbliche di comunicazioni.

L’informativa privacy ed il consenso rilasciato dai genitori 

Per quanto concerne gli adempimenti privacy di natura “documentale” questi erano costituiti dal rilascio di un’informativa con la prestazione del consenso da parte dei genitori dei bambini seppur i genitori venivano informati, al momento dell’ammissione dei piccoli all’asilo nido, che il mancato assenso all’uso del sistema di web cam non avrebbe consentito di frequentare l’asilo.
La rappresentazione della necessità del consenso si ritiene sia stata dovuta a motivi pratici, nonostante nulla si legge nel provvedimento del Garante al riguardo, posto che la web cam era stata installata unicamente nella sala didattica in cui erano presenti tutti i bambini per cui la mancata prestazione del consenso di uno dei genitori dei bambini non avrebbe di fatto consentito l’uso di tutte le immagini considerata la difficoltà tecnica di oscurare le immagini dei bambini i cui genitori non avevano prestato il consenso.

 L’Authority privacy ha considerato tale consenso invalido poiché non espresso in modo libero secondo i dettami dell’art. 23 del Codice privacy (D. Lgs. 196/2003).

Lo Statuto dei lavoratori  

Per quanto riguarda il controllo delle maestre l’installazione delle telecamere esterne era stata preventivamente autorizzata con un accordo sindacale limitatamente alle finalità di tutela del patrimonio aziendale e di sicurezza del pubblico nel 2010, ai sensi quindi dell’art. 4, comma 2, dello Statuto dei lavoratori, mentre per la web cam e vi era stata un’apposita liberatoria da parte delle insegnanti.

 I profili di illiceità dell’uso di webcam nell’asilo nido  

Il Garante privacy ritiene che l’uso di telecamere negli asili nido possa essere considerato legittimo solo se rispettano i principi di necessità e proporzionalità previsti dal Codice privacy, agli artt. 3 e 11, conformemente a quanto ritenuto dal Gruppo dei Garanti europei ("WP 160" sulla "Protezione dei dati personali dei minori (Principi generali e caso specifico delle scuole)", adottato l'11 febbraio 2009) e dalla Commissione europea (P-6536/2009).
In particolare quest’ultima ha precisato che la legittimità dell’interesse all’installazione di telecamere degli asili nido sussiste se e in quanto vengano rispettati i principi di cui sopra.
Nel caso concreto l’Authority privacy ha ritenuto che, invece, non fossero stati rispettati i principi di necessità e proporzionalità poiché non era stata data la prova che: (a)  si fossero verificati incidenti di sicurezza quando venivano usati accorgimenti di carattere organizzativo; (b) le altre telecamere già installate presso la struttura fossero insufficienti e si rendesse necessaria l’installazione anche di web cam presso la zona didattica; (c) l’asilo nido si trovasse in un contesto urbano molto difficile.
In verità al fine di valutare la necessità dell’installazione si ritiene che l’asilo nido potesse rilasciare anche altri tipi di prove, si pensi alla presenza di un alto numero di bambini contesti dai loro genitori separati oppure a bambini soggetti al rischio di sequestro di persona o a specifiche segnalazioni formulate da parte dei genitori in ordine all’esigenza di elevare il livello di sicurezza della struttura o, ancora, alla presenza di insegnanti con procedimenti penali in corso inerenti proprio l’esercizio della professione ma non sospesi (considerato il principio di presunzione di innocenza ed il rischio giuslavorista in questa tipologia di procedimenti).
L’Authority ha rilevato che anche nel caso in cui l’installazione della web cam nell’area didattica fosse ritenuta proporzionata non poteva considerarsi legittimo l’accesso alle immagini da parte dei genitori dei bambini sia per motivi di sicurezza, considerato l’elevato rischio  di captazione delle immagini che viaggiano attraverso la rete, sia in considerazione del fatto che la web cam avrebbe consentito anche di visionare le immagini degli altri bambini.

Le misure di sicurezza per le immagini trasferite via internet  

In verità queste due valutazioni prestano il fianco a facili contestazioni, riguardo la tutela della sicurezza del dato sarebbe bastato al Garante privacy invitare la società che gestisce all’asilo nido all’adozione della misura della cifratura dei dati prevista dal provvedimento generale sulla videosorveglianza del 2010 proprio relativamente alle immagini che vengono trasferite su reti pubbliche di comunicazione. Il par. 3.3.1 del provvedimento generale ora citato, infatti, prevede: “f) la trasmissione tramite una rete pubblica di comunicazioni di immagini riprese da apparati di videosorveglianza deve essere effettuata previa applicazione di tecniche crittografiche che ne garantiscano la riservatezza; le stesse  cautele sono richieste per la trasmissione di immagini da punti di ripresa dotati di connessioni wireless (tecnologie wi-fi, wi-max, Gprs)”.
L’accesso alle immagini Per quanto riguarda, invece, la circostanza che i genitori possano accedere mediante la web cam non solo alle immagini dei propri figli ma anche a quelle degli altri bambini va rilevato che gli altri genitori avevano prestato il consenso affinché i terzi soggetti - costituiti dai genitori degli altri bambini o loto tutori - potessero accedere anche alle immagini dei loro bambini laddove fossero stati presenti nell’area didattica.
Peraltro, lo stesso Garante privacy nelle Linee guida relative alla privacy nella scuola del settembre 2012 aveva evidenziato che non violano la privacy le riprese video e le fotografie raccolte dai genitori durante le recite, le gite o i saggi scolastici purché le immagini siano destinate solo all’ambito familiare o amicale mentre nel caso in cui si intendesse procedere alla diffusione occorre di regola il consenso.
Ebbene, nel caso concreto: (a) le immagini non sarebbero diffuse via internet ma sono accessibili da parte di soggetti determinati (ossia i genitori di tutti i bambini dell’asilo nido i cui figli hanno la possibilità di accesso all’area didattica) per cui vi sarebbe una comunicazione dei dati; (b) i genitori avevano prestato il loro consenso ai sensi dell’art. 23 del Codice si presume anche relativamente alla comunicazione dei dati; (c) le immagini sarebbero impiegate unicamente nell’ambito familiare non essendo possibile, peraltro, nemmeno la registrazione o il salvataggio su altro supporto.
Peraltro, la regola in materia di videosorveglianza nelle scuole che consentirebbe il loro funzionamento solo negli orari di chiusura degli istituti  è di per sé derogabile posto che il Garante nel provvedimento inerente le scuole del 2012 evidenzia: “Si possono in generale installare telecamere all’interno degli istituti scolastici, ma devono funzionare solo negli orari di chiusura degli istituti e la loro presenza deve essere segnalata con cartelli” (omissis).
L’Authority privacy ha dichiarato l’illiceità del trattamento del dati per violazione dei principi  di necessità e proporzionalità ed ha vietato, per tali motivi, l’ulteriore trattamento delle immagini obbligando, in tal modo, la società che gestisce l’asilo nido allo spegnimento della web cam collocata nell’area didattica.
Va segnalato che nel caso concreto il Garante, se per un verso ha ritenuto il consenso invalido poichè raccolto in violazione del principio di libertà per altro verso non ha ritenuto di attivare un autonomo procedimento sanzionatorio che avrebbe potuto condurre all’applicazione della sanzione amministrativa di cui all’art. 162 bis da 10.000 a 120.000 euro come normalmente avviene in caso di violazione di questa norma. Il mancato avvio di un procedimento amministrativo sanzionatorio deve, ragionevolmente essere ascritto alla circostanza che, in ogni caso, si è dovuto pronunziare trovando il giusto equilibrio tra interessi contrapposti meritevoli di tutela, ivi compreso l’interesse dei genitori alla partecipazione dello sviluppo della personalità dei bambini.

In conclusione il provvedimento non va letto come un divieto generico all’istallazione di telecamere nelle aree didattiche degli asili nidi ma richiede una maggiore cura nella valutazione del rispetto dei principi di necessità e proporzionalità dei dati preliminarmente all’installazione delle telecamere.

Normativa di riferimento:
Provvedimento dell’8 maggio 2013 relativo ad un sistema di videosorveglianza tramite webcam in grado di consentire ai genitori il controllo a distanza dei propri figli minori durante il periodo di permanenza in asilo nido.

Provvedimento del 4 aprile 2013 relativo a sistemi di videosorveglianza occultamente installati presso la sede di una società pubblicato sul Registro dei provvedimenti nr. 164 del 4 aprile 2013.

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